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Idee

C'ERA UNA VOLTA…

C'ERA UNA VOLTA…

Innanzitutto riconosco un forte interesse per lo spazio.
Fin dall'asilo ero affascinata dalle stanze a cui non potevo accedere e da come si raggiungessero: l’ala per i grandi proibita del cortile dell’asilo,  le cucine riservate alle suore, il deposito segreto nel retro del teatro, ma anche tutte quelle scale dell’ospedale dove feci le tonsille. Ovviamente cercavo di indagare e intrufolarmi in questi ambienti proibiti da quella che, solo dal 2000, sarà chiamata privacy.
Mi incuriosiva anche capire perché l’amica ricca di mamma avesse un bagno con sanitari color cammello e il lavandino – anch’esso rigorosamente cammello– incastrato in un comò con i cassetti. Perché il lavandino non era bianco con la colonna come tutte le case viste prima? Per rispondere a questo quesito esistenziale fu ovviamente doveroso chiudersi in quel bagno più volte, per fare un’attenta analisi del contenuto di quel mobile sospetto.
Mentre mia madre pensava ad una seria colite –viste le ore che stavo in bagno–  e mio padre si preoccupava del mio futuro –visto le note che prendevo già all’asilo–  ponevo le basi di una futura solida carriera da  portinaia o, nel migliore dei casi ,  da investigatrice privata.

In secondo luogo, intravedo nei ricordi una forte predisposizione al problem solving.
Come potevo avere sei Barbie e solo una cameretta con un unico letto per tutte loro? E oltretutto con arredo copia del modello originale.  “Dove dormono le altre cinque? Non è giusto!” Non riuscendo ancora a collegare tale dettaglio con lo stesso motivo per cui avevamo  a casa solo il lavandino con la colonna, tentai di porvi rimedio. Le confezioni anni ‘70 di sei formaggini Philadelphia erano delle fantastiche scatole in legno che, con un po’ di creatività, trasformai in confortevoli sommier matrimoniali. Formaggino dopo formaggino, creai posti letto per tutte le  Barbie e una grave intolleranza al lattosio per me.

In terzo luogo, era evidente la mia dicotomia tra anima scientifica e creativa.
Dopo le medie, volevo fare un liceo che avesse sia la parte scientifica che quella di cultura generale senza perdere la parte creativa. Dissi “mamma io vorrei continuare a fare i lavoretti”. Scartata l'ipotesi di mio fratello di rimandarmi all’asilo –solo perché le suore non mi avrebbero mai ripreso– optai per il liceo scientifico.
Al liceo feci le mie prime costruzioni: solidi complicatissimi di cui realizzai il modellino per simulare le proiezioni ortogonali, viste le continue insufficienze sull’argomento. Ricordo ancora quel fil di ferro dei sacchetti da cucina infilato su per i solidi per simulare l’asse di rotazione. Come tutti gli odii iniziali, con il tempo il disegno divenne un’amore, anzi un modo per ragionare e anche pensare alla terza dimensione. Ciononostante, ancora oggi, senza una mappa, mi perdo subito. Solo chi ha un forte senso del dis-orientamento come me, mi può capire.

E il resto è noto. Ho fatto la facoltà di architettura. E poi ho aperto uno studio nel 2005. Ma questa storia la sto ancora scrivendo.
A proposito, mi hanno anche detto che per comunicare bene bisogna essere empatici e capire il bisogno degli altri….ma quale sarà il bisogno di chi legge questo post? Non penso di averlo centrato con questo testo, ma tanto credo che nessuno sia arrivato fino qui per confermare questo mio dubbio...(o forse si?).

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